Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato; Nei confronti della Regione Toscana, in persona del suo presidente della giunta, avverso la legge regionale 4 dicembre 2003, n. 55, intitolato «Accertamento di conformita' delle opere edilizie eseguite in assenza di titoli abilitativi, in totale o parziale difformita' o con variazioni essenziali, nel territorio della Regione Toscana», pubblicata nel Boll. uff. n. 44 del 10 dicembre 2003. La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 23 gennaio 2004 (si depositera' estratto del relativo verbale). La Regione Toscana ha proposto una prima controversia di legittimita' costituzionale nei riguardi (anche) dei commi da 25 a 40 dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 ed una seconda similare controversia nei riguardi (anche) dei commi da 25 a 43 del medesimo art. 32, come risultato dalla conversione nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Con la legge ora in esame la Regione ha disposto nell'art. 1, comma 2 che «i commi da 25 a 38 e da 40 a 45 dello stesso art. 32 non si applicano nel territorio della Regione Toscana, ad eccezione delle disposizioni di detti commi concernenti l'oblazione penale». Il comma 1 del citato art. 1 costituisce una sorta di premessa alla teste' riportata statuizione, che pero' rafforza mediante l'avverbio «esclusivamente». La legge in esame si basa sul «gia' avvenuto adeguamento della disciplina regionale» ai principi posti del testo unico approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e quindi su una lettura per cosi' dire «condizionante» del comma 2 del menzionato art. 32. Una siffatta lettura di questo comma 2 non e' pero' condivisibile; detto comma (premesso all'intero art. 32 e non soltanto ai commi di esso menzionati dalla legge toscana) fa riferimento al contesto generale e d'insieme entro il quale i commi successivi dello stesso art. 32 vanno a collocarsi, e si limita a rammentare l'esigenza di un rinnovato «adeguamento» di tutte le leggi regionali in essere. Comunque, la normativa introdotta dai commi dell'art. 32 citato che l'art. 1, comma 2 della legge toscana in esame intende rendere non applicabili va molto oltre le previsioni in tema di «rilascio della concessione (ancora e' usata la previgente denominazione) e dell'attestazione di conformita' in sanatoria» contenute nelle leggi toscane menzionate nel comma 1 dello stesso art. 1. Non puo' certo contestarsi che gli anzidetti commi dell'art. 32 introducono innovativamente un principio generale non presente nella anteriore legislazione toscana. La controversia concerne dunque non gia' se tale anteriore legislazione fosse o meno sufficiente, ma se allo Stato era consentito porre le regole che si vorrebbero rendere non applicabili ed i principi che si vorrebbero lasciare inosservati. Quanto osservato rende palese come le parole «ad eccezione delle disposizioni di detti commi concernenti l'oblazione penale» (in chiusura del citato comma 2) siano destinate a rimanere prive di concreta effettivita' qualora il «non si applicano» che le precede superasse il vaglio di legittimita' costituzionale per non essersi ravvisata lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento penale» (art. 117, comma secondo, lettera L Cost.). Competenza legislativa esclusiva che il legislatore statale ha utilizzato nel produrre quelle norme sull'oblazione che costituiscono il fulcro delle disposizioni che si vorrebbero non applicabili, e che il legislatore toscano solo apparentemente salvaguarda. Posto che la materia «ordinamento penale» e' di esclusiva competenza statale, la sottrazione dal territorio nazionale del territorio di una o piu' regioni introduce disuguaglianze (art. 3 Cost.) non legittimate dal riconoscimento in Costituzione delle autonomie regionali. Queste non possono condurre a discipline diversificate nell'ambito delle materie riservate allo Stato. Non pare che fatti identici (ad esempio, edificazioni in assenza di permesso di costruire) siano repressi penalmente in una Regione, e non repressi perche' sanati «per condono» in altre regioni. In questo quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che irriguardosa dell'art. 117, comma secondo, lettera L Cost. e lesiva dell'art. 3 Cost., anche contrastante con l'art. 117, comma terzo, Cost., con gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51, 127 comma secondo e 134 Cost. Considerato che gli introiti attesi dalle oblazioni sono stati inseriti nella finanziaria 2004 dello Stato (legge 24 dicembre 2003, n. 350), impedire l'applicazione nel territorio di una regione dei commi menzionati nel comma 2 dell'art. 1 in esame concreta una ingerenza nella formazione del bilancio annuale dello Stato e quindi una lesione di quella «autonomia finanziaria» che anche, ed anzitutto, allo Stato deve essere garantita, una compressione della competenza legislativa per il «coordinamento della finanza pubblica e dei sistemi tributari», una sottrazione di risorse destinate alla copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche approvate dal Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di stabilita' concordato a livello da Unione europea. L'art. 119 Cost. e' anche qui evocato perche' essenziale dovere costituzionale dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti «a finanza derivata» le risorse occorrenti: tale dovere e' talmente prioritario e fondamentale da aver reso superflua l'esplicita indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi fronte; significativa e' l'assenza nell'art. 119 Cost. di una esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato. La Regione la quale ostacoli mediante propria legge una manovra di finanza pubblica statale dovrebbe farsi carico di assicurare altrimenti l'invarianza del «livello massimo del saldo netto da finanziare» (art. 1, comma 1 della legge finanziaria citata), ad esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato. D'altro canto, la legge in esame contrasta con l'art. 117, comma terzo Cost. che riconosce allo Stato la competenza alla «determinazione dei principi» (si noti «determinazione», e non ottativa indicazione) in materia di «governo del territorio». Codesta Corte ha insegnato che spetta tuttora allo Stato - anche per le evidenti e plurime connessioni con la materia «ordinamento civile» (art. 117, comma secondo, lettera L Cost.) - produrre la disciplina normativa in tema di titoli abilitativi edilizi. In questo ambito deve collocarsi pure la previsione di titoli abilitativi non ordinari, quali quelli per sanatoria non «a regime», specie se tale previsione si salda con (ed e' integrata da) la prefigurazione di programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia. Da ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente - che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre norme meramente demolitorie e «di reazione», le quali statuiscano la non applicazione nel territorio regionale di disposizioni poc'anzi prodotte dallo Stato. Iniziative siffatte possono pregiudicare l'unita' della Repubblica (art. 5 Cost.) e comunque concretano una sorta di anomala «autodichia». L'ordinamento costituzionale (ora art. 127, comma secondo Cost.) riconosce ad ogni Regione la facolta' di sottoporre a codesta Corte le disposizioni statali che reputa affette da illegittimita' costituzionale, e cosi' esclude che il potere legislativo regionale possa - grazie alla agevolmente realizzabile rapidita' della produzione legislativa ad opera dei Consigli regionali ed alla soppressione dell'istituto del rinvio governativo, e facendo leva sulla successione della leggi nel tempo - essere utilizzato per contrastare l'applicazione di dette disposizioni statali (non rileva se in assenza o in pendenza del ricorso della Regione). Quest'ultima considerazione appare di particolare importanza per il sereno ed equilibrato esplicarsi dei poteri legislativi dello Stato e delle autonomie. Si confida in un insegnamento di codesta Corte, il quale tenga conto anche dell'esigenza di salvaguardare appieno l'autorita' del Parlamento nazionale.